Il Morbo K, la medicina per salvare le persone dai campi nazisti
Di recente ho partecipato a un podcast curato da The Visible Voice e organizzato per commentare il film Syndrome K[1]. Questa pellicola è incentrata su una vicenda avvenuta a Roma nella Seconda Guerra Mondiale (più precisamente ci troviamo nell’ottobre del 1943). Una vicenda che ha riguardato la comunità scientifica e la drammatica realtà delle deportazioni razziali.
Per chi non fosse a conoscenza di questa incredibile storia ospedaliera di resistenza e di umanità, il Morbo K è stata una tremenda epidemia scoppiata all’interno di un padiglione del Fatebenefratelli di Roma nel 1943. La curiosità è che questa malattia estremamente contagiosa è stata una completa invenzione del medico antifascista Adriano Ossicini che, anche per questo motivo, fu imprigionato e torturato da nazisti e fascisti.
Nell’anno in cui avvenne il maggior numero di deportazioni razziali, infatti, il Fatebenefratelli, un complesso ospedaliero situato sull’isola Tiberina fu lo scenario di una delle più straordinarie iniziative di solidarietà da parte di un gruppo di militanti antifascisti romani: i “congiurati” dell’isola Tiberina, che dopo il rastrellamento del 16 ottobre ai piedi del teatro di Marcello e del Portico di Ottavia si attivarono per salvare il maggior numero di ebrei dalla morte nelle camere a gas. Addirittura, la scelta del nome rappresenta un forte simbolo di rivalsa, avendo utilizzato la lettera K in riferimento agli ufficiali nazisti Kesselring e Kappler[2].
“Ricordo ancora”, dichiarò lo stesso Adriano Ossicini in riferimento all’accaduto, “lo straziante grido di una madre in quell’alba, a via della Reginella, che urlava al figlio piccolo ‘Scappa via, bello de mamma, scappa!’”. Dopo essersi recato di corsa verso l’ingresso dell’Ospedale assieme ad un altro medico riuscirono a nascondere una ventina di cittadini al suo interno, ricoverandoli in un reparto isolato grazie alla collaborazione del primario Giovanni Borromeo. Fu allora che ad un giovane medico, anch’egli ebreo, venne l’idea di inserire nella cartella clinica la Sindrome di K, diventata poi nell’accezione comune Morbo K, “per distinguerli dagli altri pazienti e per sintetizzare il morbo di Kesserling, nome dell’ufficiale nazista, razzista e persecutore”[3].
Si è trattato di un’operazione talmente importante che la Fondazione internazionale Raoul Wallenberg, patrocinata dalla Comunità ebraica di Roma e dalla Fondazione museo della Shoah, nel 2016 è arrivata a premiare il complesso ospedaliero capitolino con il titolo di Casa di Vita. Che io sappia, quindi, si tratta della prima premiazione di una struttura sanitaria per aver avuto il merito di inventarsi una falsa epidemia.
“Bisogna sempre cercare di essere dalla parte giusta”, dichiarò lo stesso Adriano Ossicini in una recente intervista rilasciata prima del suo decesso, avvenuto nel 2019, raccontando di come insieme a Borromeo e con la collaborazione dei suoi colleghi “scrisse sulle cartelle cliniche, altrettanto false, dei pazienti che erano affetti da una malattia molto contagiosa, il Morbo di K. Questo scoraggiò i nazisti al controllo dei nomi dei pazienti. Nel frattempo, nei sotterranei una radio clandestina permetteva di comunicare con i partigiani, mentre nell’ospedale trovavano rifugio molti romani”.
Le false generalità delle cartelle cliniche non furono mai scoperte proprio perché l’entourage medico isolò tutti i finti pazienti all’interno di uno stesso reparto. I nazisti decisero di non entrare in quel reparto perché terrorizzati dal possibile contagio con una malattia mortale. Durante i giorni di degenza nel padiglione, quindi, i cittadini di origine ebraica avevano il tempo di farsi preparare i falsi documenti di identità grazie ai quali fuggire dopo una finta dichiarazione di morte a causa dello stesso Morbo K.
Nel 2007, il figlio del Dott. Borromeo svelò nel dettaglio come il padre un giorno avesse sventato un blitz delle SS che occuparono l’intero ospedale per un rastrellamento di massa, spiegando loro in tedesco la gravità e l’altissima contagiosità della malattia fino ad aggiungere approfondimenti dettagliati “sugli effetti devastanti cui sarebbero stati esposti entrando nel reparto K”. La descrisse come una malattia neurodegenerativa, che si manifestava in un’iniziale fase di convulsioni e demenza fino a portare alla graduale paralisi degli arti e alla conseguente morte per asfissia[4]. Questa descrizione allontanò definitivamente le truppe dal reparto.
“È vietato l’accesso ai non addetti” fu il cartello che Ossicini, futuro Ministro per la famiglia e la solidarietà sociale, affisse all’ingresso del reparto per autenticare la sua bugia e allo stesso tempo salvare le centinaia di vite destinate ai campi di concentramento nazisti.
Come si legge dalle ricostruzioni storiche, tutta l’operazione fu talmente ben strutturata che proseguì “nonostante la prigionia del dottor Adriano Ossicini”[5].
Ho voluto ricordare questa storia per ribadire come non può esserci medicina senza etica.