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Global Warming: un appello per la salute di tutti

Nonostante in questi ultimi mesi l’attenzione di tutti si sia concentrata sulla pandemia CoVid-19 e su quanto abbia stravolto il nostro modo di vivere e, purtroppo, anche di morire, abbiamo comunque l’obbligo di mantenere alta la guardia su quello che è uno dei temi in assoluto più importanti per il futuro della Terra: l’impegno per ridurre il Global Warming.

Vorrei utilizzare questo spazio per sottoscrivere e promuovere l’appello che ha recentemente lanciato il fondatore del movimento di cittadini europei sullo sviluppo sostenibile EUMANS, nonché tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni, Marco Cappato, per il quale “è tempo di agire, ne va della salute di tutti e della sopravvivenza della Terra”.

L’occasione è stata il lancio della petizione Stop Global Warming, un’iniziativa nata in corrispondenza della cinquantesima Giornata della Terra che ha come obiettivo il raggiungimento di 1 milione di firme da presentare poi alla Commissione Europea per sollecitare una legge volta alla tassazione delle emissioni di Co2. A sostegno dell’iniziativa partecipano ben 27 premi Nobel e 5227 scienziati.

Siamo di fronte a un bivio. La crisi del Coronavirus rischia di spazzare via i risultati in questi anni contro i cambiamenti climatici, con risultati devastanti per il pianeta” ha dichiarato lo stesso Marco Cappato, aggiungendo come sia “possibile che la nuova consapevolezza della nostra fragilità ci faccia compiere le scelte necessarie proprio ora che saranno messi in campo investimenti pubblici senza precedenti. Ora [...] l’Iniziativa dei Cittadini Europei www.stopglobalwarming.eu rappresenta l’unica occasione di partecipazione democratica per spingere l’Europa a dare l’esempio su scala mondiale, rilanciando il Green deal annunciato dalla Commissione Europea[1].

Già durante il recente periodo di lockdown l’organizzazione Fridays For Future Italia aveva tentato di mantenere alta la guardia, aggiornando settimanalmente il blog #QuarantenaForFuture. Al suo interno, infatti, si potevano leggere tutti gli sconcertanti dati che riguardano questa emergenza globale: dal numero di morti dovuti al surriscaldamento globale alla rilevazione delle temperature terrestri, che secondo il Gruppo Intergovernativo sul Cambiamento Climatico (Ipcc) si sono alzate di più di un grado centigrado nell’ultimo secolo, contribuendo al parziale scioglimento dei poli e a tutte le conseguenze a cui assistiamo oggi.

Tra queste vi è sicuramente l’incremento di malattie cardiovascolari e respiratorie (“aumento del 3,4% della mortalità cardiovascolare, [...] del 3,6% della mortalità respiratoria e [...] dell’1,4% della mortalità cerebrovascolare”[2]), con una statistica che andrà sicuramente peggiorando se si realizzerà ciò che denuncia la stessa Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), lo stabilizzarsi di 250 giorni di afa alla fine di questo secolo. Per non parlare della salute mentale: l’associazione degli psichiatri degli Stati Uniti ritiene che l’aumento di disturbi di ansia e di suicidi è strettamente collegato al tema del surriscaldamento globale. Saranno direttamente proporzionali anche l’incremento di malattie oncologiche, infettive, obesità, endocrine e malattie della riproduzione. La tropicalizzazione del clima, poi, si porta sicuramente dietro una scia di effetti secondari, tra i quali “il proliferare di specie tropicali e di patogeni tropicali” quali lo Zika, il Dengue e il West Nile trasportate dalla zanzara tigre (specie che più delle altre ha beneficiato dell’innalzamento climatico).

Un altro pericolo è dato dalla risposta dell’ambiente a questo aumento di temperature, come ad esempio il triplicarsi di inondazioni e di calamità naturali, che sicuramente in contesti urbani come quelli odierni causerebbero ingenti perdite di vite umane, oltre che danni al tessuto socioeconomico cittadino. Sembrano previsioni catastrofiste, ma è sufficiente considerare che già oggi l’inquinamento atmosferico (concausa del Global Warming) soltanto in Italia si traduce in oltre 80mila morti l’anno[3].

I costi del riscaldamento globale, anche in termini economici e finanziari, sono stati calcolati da The Lancet Countdown 2019: Tracking Progress on Health and Climate Change, un report stilato da 120 esperti che hanno cooperato a livello internazionale lo scorso novembre e presentato in Italia dalla Fondazione CMCC e dall’Università Ca’ Foscari a Venezia. Grazie a questo report scopriamo che, ad esempio, nel solo 2018, 831 eventi climatici hanno causato perdite economiche per 166 miliardi di dollari.

Stando a quanto enunciato dalla ricercatrice dell’University College di Londra Marina Romanello, co-autrice del sopracitato report, l’Italia sarà tra i Paesi che maggiormente accuseranno l’evolversi di questo problema, “probabilmente a causa dell’alta porzione di anziani che vivono nelle aree urbane in queste regioni: si tratta di una fascia di popolazione particolarmente vulnerabile a ictus e problemi renali legati ai colpi di calore perché maggiormente affetta da malattie croniche”.

Concentrandoci invece sulle ripercussioni economiche, secondo tale analisi nel solo 2017 sono state 1,7 milioni le ore di lavoro perse a causa dell’esposizione alle alte temperature, soprattutto nel settore dell’agricoltura. Come ha stimato Shouro Dasgupta, ricercatore della Ca’ Foscari, entro il 2080 andremo incontro ad un calo dell’11,2% all’interno della filiera dell’agricoltura e dell’8,3% nel settore industriale. “Gli impatti sull’Italia sono anche maggiori, con una riduzione rispettivamente del 13,3 per cento e dell’11,5 per cento. È importante sottolineare che i cambiamenti climatici, oltre a danneggiare l’economia italiana con un calo del PIL dell’8,5 per cento al 2080, aumenteranno anche le disparità di reddito interne al paese, aggravando il divario Nord-Sud: tutto ciò avrà implicazioni significative per la salute”, ha poi aggiunto.[4]

Tornando al focus, la salute, è interessante (e preoccupante allo stesso tempo) dare uno sguardo anche allo studio pubblicato dal British Medical Journal a firma di Renee Salas e Ashish Jha dell’Harvard Global Health Institute, per i quali il Global Warming rischia seriamente di compromettere il raggiungimento dell’Universal Health Coverage (UHC – assistenza sanitaria universale), tema centrale per l’Agenda 2030 delle Nazioni Unite e di altri enti internazionali.

A questo studio si aggiunge la stima della stessa Organizzazione Mondiale della Sanità, per la quale i cambiamenti climatici causeranno oltre 250.000 decessi annui entro il 2030 dovuti alla malnutrizione, alla malaria, alla diarrea, al Dengue (tutte malattie legate alla carenza di acqua e cibo) e alle ondate di calore[5].

Le conseguenze del nostro disinteresse nei confronti della Terra sono sotto gli occhi di tutti, come denunciano giustamente i più giovani che prima della pandemia hanno riempito le piazze e le strade di tutto il mondo rivendicando il loro diritto ad avere un futuro. Non possiamo più permetterci di essere miopi ed è tempo che tutti si attivino per invertire un percorso che se non verrà fermato condurrà ad una catastrofe epocale.

Ignazio Marino


[5] vedi nota 2