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Teniamoci stretti il diritto alla salute, una tutela individuale e collettiva

Vorrei tornare nuovamente sul tema del diritto alla salute, e su quanto la sua salvaguardia sia uno dei tasselli fondamentali per impostare una società equa e attenta ai bisogni delle persone. Stando alla definizione del Ministero della Salute parliamo in realtà di una pluralità di diritti, quali quello all’integrità psicofisica, quello ad un ambiente salubre, così come l’accesso universale alle cure.

Il diritto alla salute si pone “a tutela oltre che della persona del destinatario, di un interesse pubblico della collettività.

Tale tutela, intesa quindi come diritto fondamentale delle persone e della collettività, è affermata nell’articolo 32 della Costituzione attraverso l’istituzione del Servizio Sanitario Nazionale. Questo Ente, istituito dalla legge 833 del 1978, “ha carattere universalistico e solidaristico, fornendo cioè l’assistenza sanitaria a tutti i cittadini e senza distinzioni di genere, residenza, età, reddito e lavoro”, e garantisce quindi l’adempimento del sopracitato articolo che ci spiega come “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività e garantisce cure gratuite agli indigenti”.

Oggi, dopo una modifica della Costituzione, sono le Regioni a dover assicurare a tutti i cittadini prestazioni e servizi essenziali. I principi che muovono questo loro operare, in ogni caso, devono sempre essere il rispetto della dignità della persona, dei suoi bisogni di salute, l’equità, la miglior qualità del servizio possibile e l’appropriatezza delle cure[1] (“La legge, quindi, non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana[2]).

È proprio sul punto delle risorse che si concentrano le maggiori insidie per la tutela di tale fondamentale diritto. Da molti anni, infatti, la sanità pubblica soffre a causa della ristrettezza dei fondi a disposizione delle Regioni.

Tornando sul Servizio Sanitario Nazionale, parliamo di una istituzione che è, in realtà, formata “dal complesso delle funzioni, delle strutture, dei servizi e delle attività destinati alla promozione, al mantenimento ed al recupero della salute fisica e psichica di tutta la popolazione senza distinzione di condizioni individuali o sociali e secondo modalità che assicurino l’eguaglianza dei cittadini nei confronti del servizio”. Tutto verte su cinque principi fondamentali, e cioè sul fatto che la salute e la sua tutela siano temi di responsabilità pubblica, che l’accesso ai servizi sanitari debba essere equo ed universale, che sia necessaria una globalità di copertura in base alle necessità assistenziali di ciascuno, che il finanziamento dell’intero servizio debba essere pubblico e provenire dalla fiscalità generale, e che i diritti in tutto il territorio nazionale debbano essere “portabili” e basati sulla reciproca assistenza tra le Regioni.

Salta agli occhi fin da subito, quindi, come l’impostazione teorica di tale discorso sulla salute pubblica poggi su solidi principi che tutti noi dovremmo condividere e sottoscrivere.

Per amministrare in maniera più efficiente l’intera struttura, si è provveduto a suddividere il SSN in diversi enti: al centro vi è il Ministero della Salute attorno al quale ruotano, sotto il controllo delle Regioni, tutte le Aziende Sanitarie Locali (le cosiddette Asl) e gli ospedali. “Alla legislazione statale spetta la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale; la tutela della salute rientra invece nella competenza concorrente affidata alle Regioni, che possono legiferare in materia nel rispetto dei principi fondamentali posti dalla legislazione statale”.

Suddividendo tali responsabilità, quindi, ci si pone su livelli differenti di governo, dove a quello dello Stato (volto a fornire un forte sistema di garanzie mediante l’impiego dei Livelli Essenziali di AssistenzaLEA) si affianca quello delle Regioni che devono amministrare la spesa per raggiungere gli obiettivi sanitari del Paese. Sono tali Amministrazioni a dover regolare e organizzare i servizi e le prestazioni volte a tutelare la salute dei cittadini, mediante gli opportuni finanziamenti alle Asl e agli ospedali, che, a loro volta, gestiscono le specifiche necessità dei pazienti.

Per far fronte, purtroppo, ai numerosi tagli che hanno riguardato la spesa sanitaria negli ultimi anni (in particolar modo a partire dalla crisi economica iniziata nel 2008), il già valido sistema di assistenza sanitaria primaria è stato integrato nelle diverse Regioni con nuovi modelli di erogazione di servizi, quali ad esempio i poliambulatori territoriali e le strutture di assistenza intermedia (tra quella primaria e quella ospedaliera), riportando i servizi sanitari ad un livello di assistenza sociale. Bisogna però sottolineare come tali progetti non abbiano ancora ricevuto un’adeguata valutazione formale, e quindi rimangono ancora in fase sperimentale[3]. Personalmente, per averli studiati e osservati da anni credo che siano un modello straordinariamente efficace.

Dobbiamo essere orgogliosi del sopracitato articolo 32 della nostra Costituzione che indica come la salute sia un tema largo che include il benessere psico-fisico di un individuo. Non si limita, cioè, a prevenire e curare le malattie in senso stretto, ma allarga il suo raggio di azione verso un modello che includa, oltre alle prestazioni sanitarie, anche la vita in un ambiente salubre e il diritto alla libertà di cura (nei limiti delle imposizioni di legge).

Sono i diritti fondamentali della persona a dover essere tutelati sopra ogni cosa, primo su tutti quello alla salute, ed è qui che si annoda il dovere dello Stato di fornire assistenza gratuita ed accessibile agli indigenti, così come la compartecipazione economica mediante l’utilizzo di ticket nei confronti delle spese da sostenere. Allo stato d’essere, infatti, persistono ancora differenze sostanziali tra le varie Regioni e, soprattutto, in base alla classe economica di riferimento di chi richiede il servizio sanitario. Ad esempio, “il divario nella speranza di vita tra chi risiede nelle regioni del Sud o del Nord può raggiungere i tre anni a favore di queste ultime”, così come, all’interno della categoria maschile, chi ha un’istruzione maggiore vive in media 4,5 anni in più rispetto ai meno istruiti[4].

In virtù dell’articolo 81 della nostra stessa Carta costituente, però, che prevede che lo Stato si debba preoccupare dell’equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio, è quindi su una redistribuzione delle spese statali all’interno dell’annuale Legge di Bilancio che bisognerebbe intervenire per assicurare la piena risoluzione del diritto alla salute di tutti i cittadini[5]. Il tutto, ovviamente, tenendo in considerazione le previsioni comunitarie che vedono un continuo invecchiamento della popolazione e una moderata crescita economica, binomio che si tradurrà in una ulteriore pressione sulla spesa pubblica per la salute dei cittadini[6].

È necessario oggi, per eliminare le differenze sociali in tema di salute convincere Governo e Parlamento che il denaro utilizzato per la sanità non è un costo ma un investimento. Un investimento essenziale, come quello sulla scuola pubblica, per rimuovere odiose differenze sociali su alcuni diritti fondamentali.

Ignazio Marino


[3] OECD 2019, IL PROFILO DI SALUTE DELL’ITALIA: luci e criticità (e raccomandazioni) per il nostro Paese, sossanita.org/archives/8241

[4] Vedi nota 3

[6] Vedi nota 3