La Città della Scienza di Roma: occasione passata o futura opportunità?
Poco tempo fa mi giungeva la triste notizia della scomparsa di Fabrizio Saccomanni, ex Ministro delle Finanze del nostro Paese durante il mio mandato da Sindaco della Capitale ma, soprattutto, uomo di straordinaria professionalità dotato di rare qualità umane. Nel ricordare la figura di Fabrizio Saccomanni sui miei profili social ho voluto ricordare uno dei progetti per la città di Roma che aveva visto proprio in lui uno tra i più convinti e sinceri sostenitori: la Città della Scienza. Per realizzarla avevamo collaborato al fine di reperire 250 milioni di euro necessari alla sua realizzazione. Al tempo, infatti, l’assessore Giovanni Caudo e io gli sottoponemmo questo progetto per il recupero delle ex officine e magazzini militari di Via Guido Reni, oltre cinquantunomila metri quadri disabitati a poco più di un chilometro in linea d’aria dalla centralissima Piazza del Popolo[1].
La Città della Scienza di Roma, al tempo, vide l’incredibile partecipazione progettuale di ben 246 differenti candidature internazionali, volte alla rigenerazione dell’area delle ex caserme di via Guido Reni con il fine di sviluppare oltre 35mila m2 residenziali (di cui 6mila destinate alla social housing) e 10mila m2 con finalità ricettivo-commerciale. Il bando, alla fine, fu aggiudicato ad un gruppo di lavoro guidato dall’architetto, urbanista e docente dell’Università Iuav di Venezia Paola Viganò (membro del Comitato scientifico dell’Atelier International du Grand Paris, nonché prima donna non francese premiata con il Grand Prix de l’Urbanisme per la sua attività di progetto e di ricerca dal Ministero per l’Urbanistica Francese nel 2013). Il progetto è davvero straordinario e avrebbe dovuto rappresentare urbanisticamente l’obiettivo di generare una “nuova centralità urbana”[2].
La strategia che muoveva la realizzazione di questo importantissimo progetto era quella di convertire un industriale in stato di totale abbandono e degrado in un elegante spazio urbano. Un esempio di nuova urbanizzazione fondato sull’ecosostenibilità: tutto il riscaldamento e il raffreddamento, sia degli ambienti che dell’acqua, si sarebbe basato, per la prima volta a Roma, sulla geotermia.
Inoltre, erano previsti lo sviluppo di un design sostenibile, il trasporto a basse emissioni di carbonio, l’impiego di energie rinnovabili, di tecnologie di automazione e di nuovi materiali di edilizia green. Riprendendo un articolo dell’epoca, infatti, si può leggere come la Città della Scienza fosse “ispirata alla Land Art”, l’architettura ecologica basata sul presupposto di adattare la forma alla funzione in una chiave prettamente ecosostenibile (“Le facciate sono coperte di piante commestibili libere e diventano come epidermidi, intelligenti, autorigeneranti e organiche. Tetti e balconi diventano nuovi terreni di una città verde. I frutteti e gli orti non sono più affiancati ai nuovi edifici, sono gli edifici di questo eco-masterplan!”).
Tra i principi fondamentali alla base di questa nuova visione urbanistica vi era sicuramente la correlazione con il contesto e la storia, predisponendo in fase progettuale il mantenimento degli edifici industriali convertiti in loft, così come l’impostazione del sistema di spazi pubblici che, nonostante la sua eterogeneità, avrebbe confermato la forte struttura unitaria capace di coniugare elementi di bellezza con un’altissima qualità della vita.
Un’altra caratteristica fondamentale era la sua multifunzionalità, laddove tutte le strutture, dai negozi al dettaglio agli atelier, dalle piccole gallerie d’arte ai bar e i ristoranti fino ai servizi, agli eventi e alle mostre erano pensate per non disturbare la privacy e l’intimità che devono caratterizzare gli spazi residenziali.
Infine, la dimensione più ecologica si manifestava attraverso un’alberatura progettata per coniugare bellezza e riduzione dell’impatto ambientale, nonché nella trasformazione di tutti i tetti e balconi in veri e propri frutteti comunitari e giardini alimentari e aromatici per progettare un piano generale fiorente e fertile. Ancora, il progetto prevedeva il recupero dell'acqua piovana per l'irrigazione di aree verdi pubbliche e private, la produzione di elettricità fotovoltaica, il controllo dei microclimi negli spazi pubblici (luce del giorno e ombra) e il riciclaggio dei rifiuti solidi urbani in loco mediante biomassa[3].
Dopo quattro anni da quando venni allontanato dal mio ruolo di Sindaco, con la nota vicenda del PD dal notaio, questa straordinaria opportunità urbana è via via sfumata, con la destinazione di una parte dei finanziamenti verso un ben più modesto Tram della Musica. Se ricordo bene gli aspetti finanziari, rimarranno almeno 240 milioni di Euro stanziati, disponibili da 5 anni, e non utilizzati: il modello di decrescita “infelice” prediletto da chi governa.
Come dichiarò nel 2017 il consigliere del M5S Pietro Calabrese, “dal sopralluogo effettuato, e considerando sia l'ipotesi di recupero dei capannoni, sia le numerose esigenze essenziali presenti anche in questo quadrante, [sembrava] eccessivo spendere i 43 milioni per demolire e costruire l'ennesima struttura museale, o comunque destinarli solo per l'intervento di recupero, quando in realtà ne [erano] sufficienti nemmeno la metà", e quindi “ferme restando le verifiche di fattibilità da parte degli assessorati, una parte invece [potevano] andare a co-finanziare l'infrastruttura per il Tram della Musica”, anche per intercettare i potenziali finanziamenti da parte sia del Ministero dei Trasporti che della Banca Europea per gli Investimenti[4].
Sono trascorsi altri due anni dalle dichiarazioni “programmatiche” dell’Onorevole Pietro Calabrese, cinque anni da quando con il Ministro Saccomanni individuammo i fondi, e cosa è accaduto? Basta fare un salto al II Municipio, oppure, per chi non è di Roma andarlo a vedere con google map, per rendersi conto di come sia tutto fermo e non si vedano né mostre né gru, né cantieri aperti. Solo abbandono e desolazione. Del progetto dello studio Viganò non è rimasto nulla, e siamo arrivati addirittura al punto in cui la Presidente del Municipio, Francesca Del Bello, assieme all’Assessore ai Lavori pubblici Gian Paolo Giovannelli, hanno scritto all’assessore all’Urbanistica di Roma per chiedere aggiornamenti e informazioni sul piano di recupero. “In particolare”, si può leggere nella richiesta, “sarebbe auspicabile dare concreta attuazione a quanto scaturito dal processo di partecipazione nonché avere notizie per quanto riguarda l’orientamento sulla Città della Scienza”, un polo museale ormai sparito dalle carte. E mentre l’Assessore di Roma Capitale Montuori rispondeva affermando come “il Comune ha da tempo concluso le attività che poteva svolgere”, dichiarando la piena disponibilità informava che “l’iter è fermo in attesa della consegna dei documenti …”[5].
Purtroppo, però, di questa iniziativa si continua a non avere nessuna notizia e sembra che con il passare del tempo l’idea di realizzare un luogo aperto pubblicamente ai cittadini all’interno del quale poter mettere in relazione il mondo della ricerca scientifica con le attività di divulgazione culturale e trasmettere non solo la conoscenza ma anche la passione scientifica, in particolare alle ragazze e ai ragazzi e ai bimbi più piccoli[6], rimanga soltanto una speranza di chi una Capitale diversa la vorrebbe davvero.
[2] https://www.artribune.com/tribnews/2015/06/citta-della-scienza-a-roma-vince-studio-015-vigano-il-progetto-flaminio-ridisegnera-larea-delle-ex-caserme-di-via-guido-reni-a-due-passi-dal-museo-maxxi/
[5] https://roma.corriere.it/notizie/cronaca/19_gennaio_13/fermi-cantieri-flaminio-sparita-citta-scienza-9a73cb26-169f-11e9-9ac5-fed6cf5dadce.shtml
[6] Vedi nota 1