Le malattie croniche aumentano con le diseguaglianze, e intanto la loro spesa sanitaria arriva ai 67 miliardi di euro
I coordinatori dell’Osservatorio Nazionale sulla Salute nelle Regioni Italiane Walter Ricciardi e Alessandro Solipaca hanno recentemente dichiarato come la “sostenibilità della spesa sanitaria ed equità [sono] le sfide che il Servizio Sanitario Nazionale deve affrontare al più presto”, evidenziando come le patologie croniche siano in continuo aumento e siano contraddistinte da profonde diseguaglianze di genere, territoriali, culturali e socioeconomiche, tutte variabili che contribuiscono al vertiginoso aumento della spesa sanitaria a carico delle singole persone.
Dalla stima recente si evince come nello scorso anno sono stati 24 milioni gli italiani affetti da almeno una malattia cronica (il 40% della popolazione), tra i quali addirittura 12,5 milioni con una multi-cronicità. Stando a questi valori si stima che tra 10 anni questo numero salirà a 25 milioni, 14 dei quali con multi-cronicità.
A ricoprire il primo posto della negativa classifica delle malattie più frequenti sarà l’ipertensione, che si calcola colpirà nel 2028 quasi 12 milioni di individui, seguita dall’artrosi/artrite che invece ne riguarderà 11 milioni. La crescita stimata è, incredibilmente, di 1 milione di malati annui in più. Salirà a 5,3 milioni il bilancio di malati affetti da osteoporosi, a 3,6 milioni quello dei diabetici e a 2,7 milioni quello dei malati di cuore.
Un aumento delle patologie nei prossimi 10 anni che, a quanto afferma l’Osservatorio Nazionale sulla Salute nelle Regioni Italiane, dovrà essere messo in conto per capire a pieno il fenomeno della cronicità e ricorrere alle dovute contromisure. Anche perché questa sfida si preannuncia fondamentale per il futuro della salute mondiale dato che, stando a quanto afferma l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), tali malattie sono “problemi di salute che richiedono un trattamento continuo durante un periodo di tempo da anni a decadi” e comporteranno una spesa pari al 70-80% delle risorse sanitarie globali.
I fattori che contribuiscono all’innalzamento del numero di malati cronici sono diversi, e sono legati all’aumento della longevità grazie al miglioramento delle condizioni igienico-sanitarie (primo fra tutti la disponibilità dell’acqua potabile), ma anche al progressivo abbassamento, per molti, delle condizioni economiche e sociali, e, naturalmente, ai mutamenti ambientali.
Per quanto riguarda la spesa, invece, “attualmente nel nostro Paese si stima che si spendono, complessivamente, circa 66,7 miliardi per la cronicità; stando alle proiezioni effettuate sulla base degli scenari demografici futuri elaborati dall’Istituto Nazionale di Statistica (Istat) e ipotizzando una prevalenza stabile nelle diverse classi di età, nel 2028 spenderemo 70,7 miliardi di Euro. Dal lato dell’assistenza primaria, i dati raccolti dai Medici di Medicina Generale (Mmg)[1] riferiscono che mediamente in un anno si spendono €1.500 per un paziente con uno scompenso cardiaco congestizio, in ragione del fatto che questi pazienti assorbono il 5,6% delle prescrizioni farmaceutiche a carico del SSN, il 4% delle richieste di visite specialistiche e il 4,1% per le prescrizioni di accertamenti diagnostici. Circa €1.400 annui li assorbe un paziente affetto da malattie ischemiche del cuore, il quale è destinatario del 16% delle prescrizioni farmaceutiche a carico del SSN, del 10,6% delle richieste di visite specialistiche e del 10,1% degli accertamenti diagnostici. Quasi €1.300 vengono spesi per un paziente affetto da diabete tipo 2, il quale assorbe il 24,7% delle prescrizioni farmaceutiche a carico del SSN, il 18,5% delle richieste di visite specialistiche e il 18,2% degli accertamenti diagnostici. Un paziente affetto da osteoporosi impegna il SSN per circa €900 annui, poiché è destinatario del 40,7% delle prescrizioni farmaceutiche a carico del SSN, del 35% delle richieste di visite specialistiche e del 32% degli accertamenti diagnostici. Costa, invece, €864 un paziente con ipertensione arteriosa che assorbe mediamente in un anno il 68,2% di tutte le prescrizioni farmaceutiche a carico del SSN, il 52,2% delle richieste di visite specialistiche e il 51,7% degli accertamenti diagnostici”, è quanto riporta il dossier dello stesso Osservatorio.
Quello che, però, allarma ulteriormente è il constatare come la cronicità sia strettamente legata al genere, al territorio, alle classi di età e ai titoli di studio. Il quadro presenta infatti una spiccata connotazione sociale, con “le donne più frequentemente affette da patologie croniche, il 42,6% contro il 37% degli uomini, divario che aumenta per la multicronicità che affligge quasi un quarto delle donne rispetto al 17% degli uomini”.
Questo particolare divario è più accentuato se guardiamo a malattie come l’osteoporosi e l’artrosi/artrite, che vedono rispettivamente coinvolte il 13,2% e il 20,9% delle donne a fronte del 2,3% e dell’11,1% degli uomini.
Se ci concentriamo sulla distribuzione geografica, invece, dall’Osservatorio ci fanno notare come sia la Liguria con il suo 45,1% la Regione che registra il tasso più alto di malattie croniche (ma è anche quella con la popolazione più anziana d’Italia), mentre in Calabria c’è una maggiore concentrazione di diabete (8,2%), ipertensione (20,9%) e disturbi nervosi (7%). Il Molise, dal canto suo, “vanta” la percentuale più alta di malati cardiaci (5,6% della popolazione), mentre è in Basilicata che si verificano i casi più alti di ulcera gastrica o duodenale (4,5%) e di bronchite cronica (7,7%). Mentre a completare questa classifica in negativo si aggiungono le periferie delle Metropoli con il loro tasso di allergici cronici (12,2%), a ricoprire invece il ruolo di Comune più virtuoso ci pensa il Comune di Bolzano che registra le percentuali più basse di tutte le cronicità analizzate.
“Nel nostro Paese il livello culturale ha un effetto significativo sul rischio di cronicità”, è poi un altro dei punti fondamentali sollevati dall’Osservatorio. “I dati dell’Istat evidenziano, infatti, che le persone con livello di istruzione più basso soffrono molto più frequentemente di patologie croniche rispetto al resto della popolazione, con un divario crescente all’aumentare del titolo di studio conseguito”.
“Nel 2017”, continua poi l’Osservatorio, “nella classe di età 45-64 anni, quella in cui insorge la maggior parte della cronicità, la percentuale di persone con la licenza elementare o nessun titolo di studio che è affetta da almeno una patologia cronica è pari al 56,0%, scende al 46,1% tra coloro che hanno un diploma e al 41,3% tra quelli che possiedono almeno una laurea. L’artrosi/artrite, l’ipertensione e il diabete sono le patologie per le quali si riscontrano i divari sociali maggiori, con riferimento ai titoli di studi estremi, le differenze ammontano, rispettivamente, a 13,1, 12,5 e 7,4 punti percentuali a svantaggio dei meno istruiti. Differenze di prevalenza si registrano anche rispetto alle professioni. Le categorie maggiormente colpite da patologie croniche sono i disoccupati e gli autonomi; tra i primi la percentuale di coloro che soffrono di almeno una patologia cronica sono il 36,3%, mentre tra i secondi si attesta al 34,6%. Rispetto alla condizione di multicronicità, i disoccupati palesano mediamente maggiori svantaggi rispetto ad artrosi/artrite e disturbi nervosi. Tra gli autonomi la patologia per la quale palesano mediamente più svantaggio è l’ipertensione”.
All’aumentare della domanda di salute, quindi, il Servizio Sanitario Nazionale ha cercato, negli anni passati, di predisporre le basi per un proprio cambiamento interno volto ad una più equa ridistribuzione e gestione della cronicità, “così come dichiarato nel Piano Nazionale della Cronicità”[2]. Sarà dunque importantissimo armonizzare, su scala nazionale, il corollario di attività di gestione della cronicità al fine di incentivare e supportare interventi che si fondino su un’unitarietà di approccio, che poggino sull’individuo e che si orientino verso un’ottimizzazione dei servizi e verso una completa responsabilizzazione di tutti gli attori dell’assistenza. Il suddetto Piano scritto nel 2016 si faceva carico di “nuovi modelli gestionali centrati sulle cure territoriali e domiciliari, integrate, delegando all’assistenza ospedaliera la gestione dei casi acuti/complessi non gestibili dagli operatori sanitari delle cure primarie”. Inoltre, si rende indispensabile per i cittadini che la loro specifica situazione debba essere affrontata sulla base di Percorsi Diagnostico Terapeutici Assistenziali delineati per ogni patologia, così da offrire ad ognuno ciò di cui ha bisogno nel momento esatto in cui necessita di assistenza, il tutto attraverso un “approccio sistemico e multidimensionale”.
“Il quadro che si sta prospettando impone, oltre che un nuovo approccio sistemico per l’assistenza ai malati cronici, un cambio di passo delle politiche di prevenzione”, conclude Walter Ricciardi, Ordinario di Igiene all’Università Cattolica e Direttore dell’Osservatorio, “poiché la sostenibilità della salute dei prossimi anni si gioca sulla capacità di resilienza con azioni proattive delle Istituzioni e dei cittadini in termini di promozione di stili di vita salutari e di prevenzione di secondo livello”[3].