La carenza di personale medico come simbolo di un Servizio Sanitario in grave difficoltà
Che il nostro Servizio Sanitario sia in grave difficoltà si percepisce, purtroppo, dalle notizie di cronaca provenienti da diverse Regioni Italiane. Notizie che dovrebbero rappresentare un serio allarme sull’efficienza del nostro Servizio Sanitario Nazionale, per anni considerato un modello internazionale di gestione sanitaria.
Mi ha molto colpito una recente delibera della Regione Veneto che, prima nel suo genere, prevede la possibilità di assumere medici già in pensione. A causa della seria difficoltà nel reperire nuovo personale medico, infatti, si è pensato di richiedere ad agenzie e cooperative la eventuale disponibilità non solo di professionisti “a gettone” ma anche di medici pensionati[1].
Come ci informa un'indagine della Funzione Pubblica Cgil riguardante l'età e la retribuzione del personale medico ci troviamo ad affrontare una grave emergenza di programmazione.
A finire nell'occhio del ciclone vi sono il grave innalzamento dell'età media dei medici e la pressoché totale mancanza di una programmazione per i servizi futuri. Come si legge dalla nota redatta dall'ente sindacale, "il personale medico risulta sempre più sotto stress e in difficoltà anche per la scarsa costruzione della sanità territoriale che stenta a partire. Risulta preoccupante la percentuale di medici in uscita nei prossimi 10 anni. Essendo aumentati i bisogni di salute della cittadinanza, inevitabilmente cresce il carico di lavoro sul personale in servizio. Dobbiamo registrare che l’età media dei medici veneti nel 2017 è di 50,69 anni. Va tenuto conto di come il turnover non contiene l’aumento dell’anzianità del personale che supera i cinquant’anni, che è bene ricordarlo, lavora su turni di 24 ore. Per quanto riguarda il personale medico, con più di 60 anni di età, sono al lavoro 1.475 unità pari al 21.89% per un totale, se consideriamo chi supera i 55 anni, di 2.746 unità pari al 40.75% di cui 172 medici con oltre 65 anni. Risulta quindi evidente che quasi metà del personale in servizio svolge, pur avendo superato i 55 anni di età, lavori gravosi".
Una delle variabili più decisive per quanto riguarda questa grave carenza è sicuramente rappresentata dal problema delle retribuzioni, che, come osserva la sopracitata nota della Cgil, ci mostra "una penalizzazione dei medici veneti rispetto a quelli di altre regioni". La stessa Cgil, infatti, ci informa che "confrontando i dati delle retribuzioni dei medici dell’azienda ospedaliera di Padova con quelli di altre tre aziende ospedaliere (Torino, Bologna e la San Giovanni Addolorata di Roma) si vede come lo stipendio del personale di Padova sia di molto inferiore, con 79 mila e 184 euro contro gli 86 mila e 859 di Torino, 85 mila e 562 di Bologna e 81 mila e 813 dell’azienda romana".
Il messaggio arriva forte e deciso, e ci informa che "non è possibile pensare di avere un sistema sanitario efficiente e di qualità con personale che aumenta di anzianità anagrafica e carichi di lavoro: un sistema che progressivamente rischia il collasso". Ancora più importante è il secondo monito, in cui la Cgil spiega come servano "a tutti i livelli interventi urgenti per costruire un vero progetto socio sanitario che prenda in carico i cittadini e sia in grado di rispondere ai bisogni sempre crescenti della popolazione"[2].
La mancanza di programmazione, però, non riguarda il solo Veneto ma si estende anche ad altre Regioni facendo intravedere un più preoccupante quadro di deficit strutturale che può essere considerato come un problema nazionale.
Per questo motivo, di recente, anche l'Emilia Romagna ha aperto alla possibilità di seguire l'esempio del Veneto attraverso le parole dell'Assessore Regionale alla Sanità Sergio Venturi: "ovviamente se i concorsi vanno deserti e se non troviamo personale con altre forme di reclutamento. Richiamare i medici dalla pensione la consideriamo come l'ultima delle possibilità, ma rientra tra le cose che possiamo fare. Si tratterà, neanche a dirlo, di un ritorno volontario, non c’è nessuna obbligatorietà, ma sappiamo che i medici sono molto sensibili al richiamo della professione". Il tutto, naturalmente, perché "non possiamo interrompere un servizio pubblico".
Il problema si deve anche al periodo di pensionamento di una generazione particolarmente prolifica di personale medico.
Tra le soluzioni, quindi, lo stesso Venturini comunica che è possibile, "aprire già da quest’anno ad un numero maggiore di matricole. Penso che per i nostri giovani sia meglio affrontare una selezione dopo aver avuto accesso alla facoltà di medicina che non attraverso dei quiz: i quiz sono per la patente, non per accedere a medicina. Preferisco, per i nostri giovani, una selezione che avvenga per reali capacità sul campo"[3].
Un investimento sulla formazione e sull'occupazione dei giovani, quindi, come soluzione concreta a un problema che rischia di paralizzare la sanità pubblica e privare i cittadini di quella che forse è la più importante forma di eguaglianza: l’accesso alle cure. Perché "investire sui lavoratori, sui professionisti della sanità, vuole dire investire sulla qualità della vita di tutti i cittadini"