Difendiamo la Sanità Pubblica - La qualità delle cure
La salute è un diritto che la nostra Costituzione sancisce mediante l'art.32, che recita "La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure agli indigenti", ma col passare del tempo i costi per la sanità e le tempistiche di assistenza continuano ad aumentare mettendo seriamente a rischio il diritto di tutte le persone in Italia di avere le stesse opportunità di cura.
È infatti evidente come in Italia la graduale (e ormai consistente) apertura al mercato libero ne abbia compromesso le sue fondamenta egualitarie e, a partire dalla fine degli anni ’90 vi sia stata una grande spinta alla delocalizzazione e alla privatizzazione, che ha generato profonde disuguaglianze regionali nell’offerta dei servizi medici.
Non è un caso, ad esempio, che le attese per le visite mediche si protraggano esageratamente nel tempo creando un serio malcontento tra la popolazione che, per questo, diventa più propensa (a condizione di averne la disponibilità economica) ad affidarsi al privato.
A confermare questo preoccupante trend è recentemente intervenuto un report del Ministero della Salute fondato sull'analisi inbound del numero verde 1500, il riferimento per denunciare criticità delle liste di attesa nella sanità pubblica. Ne è emerso che il record in negativo per le tempistiche di una visita medica appartiene al Lazio, dal quale provengono quasi una segnalazione ogni quattro, con Lombardia e Campania a completare il (triste) podio.
L'analisi ha rilevato negli ultimi 3 mesi dello scorso anno una raccolta di 1600 telefonate, delle quali il 24% provenienti dal Lazio. Dalla Lombardia ne sono giunte il 13%, l'8,6% dalla Campania, l'8,5% dalla Sicilia seguita subito dalla Toscana (7,8%) e dalla Puglia (6%). Un 6% del campione, poi, riguardava disservizi dei CUP, tra i quali spicca, purtroppo, Roma con le sue Asl Rm1 e Asl Rm2 che si aggiudicano questo preoccupante primato.
Ovviamente si tratta di un dato che non può avere rilevanza scientifica, essendo affidato alla spontaneità, tuttavia è un campione dal quale apparirebbe che sono le donne ad essere discriminate particolarmente, soprattutto quelle di una fascia d'età alta (in media 64 anni), che sono risultate come le figure che più hanno usufruito del numero verde del Ministero della Salute.
Se pensiamo quanto il ritardo di una visita specialistica, così come di un'ecografia, pesi effettivamente sul decorso della malattia e possa generare gravi conseguenze sulla salute delle interessate, ci rendiamo immediatamente conto di quanto la situazione sia già oggi in uno stato di emergenza. È, infatti evidente come vi sia una enorme differenza nei possibili risultati quando si cura, ad esempio, un tumore della mammella diagnosticato quando è ancora inferiore a un centimetro di diametro rispetto alla cura, dopo una diagnosi tardiva, di una massa molto grande.
È quindi evidente che una delle maggiori problematiche del settore riguardi il superamento dei lunghi tempi di attesa. Anche in questo ambito cambia il copione ma non cambiano gli interpreti, con il picco di segnalazioni (22%) provenienti dal Lazio (in particolare dalla sopracitata Asl Rm2), l'11,2% dalla Lombardia e il 9,7% dalla Campania. La maggiore qualità di erogazione di servizi, invece, viene dal Trentino Alto Adige e dalla Valle d'Aosta.
È lo stesso report a concludere affermando che "risulta significativa la percentuale di lamentele [ed emerge] la necessità di informazione sulle modalità di fruizione dei servizi di specialistica ambulatoriale, sulle modalità di prenotazione, sul ruolo del CUP, sul significato del Piano Nazionale di Governo delle Liste di attesa"[1].
Un altro importante fattore che contribuisce ad abbassare la qualità della sanità pubblica è la pressoché totale e gravissima paralisi istituzionale sul tema della carenza di personale medico.
Questa seria e fin troppo derogata pecca nel sistema pubblico ha fatto sì che a giovarne siano state le cooperative che si occupano di indirizzare le trasferte di chi è disposto a muoversi per esercitare la sua professione e, a volte, che riabilitano al servizio anche i pensionati di tutta Italia. È così che si vedono sempre più annunci alla ricerca di personale disposto a spostarsi anche per lunghe tratte, a coprire turni talvolta disumani e spesso racchiusi in pochi giorni della settimana, sovente per una remunerazione non dignitosa.
È successo, ad esempio, in Veneto, dove il direttore generale dell'Ulss 5 ha spiegato come, all'assenza di 111 medici, tecnici e operatori sociosanitari, si sia risposto ricorrendo alla contrattualizzazione di pensionati o liberi professionisti. Dei 78 camici bianchi autorizzati dalla Regione, purtroppo, neanche l'ombra.
Per quanto riguarda la destinazione dei pendolari a utilizzarli maggiormente è la Regione Piemonte, nella quale la prima Asl ad essere entrata in emergenza è stata la 4 (che gestisce gli ospedali di Chivasso, Ivrea, Cuorgné, Lenzo e Ciriè). A Cuorgné, per citare un esempio, il 100% del servizio di pronto soccorso è affidato ai medici inviati dalle cooperative, una sorte analoga a quella di Torino e Cuneo dopo numerosi bandi andati deserti.
Esemplificativo è anche il caso dell'Alto Adige, l'unico che finora è stato discusso dal Ministro della Salute, dove oltre la carenza dei medici ad ostacolare la sanità pubblica esiste anche la barriera del bilinguismo per i medici. Qui gli ultimi mesi hanno visto alternarsi contrattisti, agenzie interinali, utilizzo dei pensionati, fino alla scelta di accantonare, per il momento, il requisito linguistico per contrattualizzare 220 professionisti per 3 anni senza l'obbligo del patentino di bilinguismo.
"Queste dilaganti soluzioni 'tampone' sono specchietti per le allodole piuttosto che reali manovre risolutive" è quanto dichiarato da Mirko Schipilliti della Commissione Nazionale Emergenza-Urgenza Anaao Assomed, "col rischio inevitabile di ricadere in problemi giuridici con responsabilità su più livelli, ma soprattutto senza offrire garanzie per un'effettiva copertura del rischio clinico in una struttura pubblica, anzi aggravandolo".
A farne le spese, tralasciando naturalmente l'altrettanto preoccupante dimensione salariale e lavorativa, è soprattutto la salute dei pazienti, che finiscono per ricevere le cure da medici che non sono legati alla struttura dove si trovano temporaneamente a coprire delle carenze di organico. "D'altronde anche il conferimento a medici in pensione di incarichi retribuiti per attività ospedaliera nella pubblica amministrazione è illegittimo", continua sempre Schipilliti[2].
In questa gravissima e preoccupante situazione nazionale, dunque, quello che possiamo fare è continuare a credere e a chiedere una seria riforma del Servizio Sanitario Nazionale che garantisca a tutti quanti il legittimo e inalienabile diritto alla salute.