Difendiamo la Sanità Pubblica - L'accesso alle cure
Viviamo in un periodo storico in cui, stando alle statistiche, la sanità pubblica sta cedendo sempre più terreno a soluzioni private e strutture convenzionate capaci di assicurare (o almeno promettere) tempi e soluzioni, più concrete e rapide. Tali realtà hanno saputo attrarre un ampio numero di pazienti garantendo un accattivante rapporto qualità-prezzo e fornendo servizi in grado di soddisfare sempre più persone. Persone che, d'altro canto, spesso si scoraggiano per i lunghi tempi di attesa proposti dalla sanità pubblica o per la qualità di ambienti e prestazioni troppo spesso intaccata dai continui tagli di cui è vittima.
"I tagli lineari e la chiusura di servizi e strutture senza un dialogo con gli operatori e senza una valutazione delle performance [sono contrari] alla Costituzione e sbagliati. È sbagliato se pensiamo che la sanità non sia un luogo per far arricchire e accrescere il potere dei politici e dei loro amici, ma lo strumento per curare davvero la salute delle persone.
Dobbiamo ridurre gli sprechi, migliorare i meccanismi di controllo, dobbiamo rendere indipendenti dalla politica tutte le nomine, dobbiamo riorganizzare ospedali e medici di famiglia per meglio garantire l’assistenza ai malati più gravi. Ma mai dobbiamo toccare l’idea del Servizio Sanitario Nazionale, della sua universalità e del diritto alla salute da garantire a tutti”, mi era capitato di scrivere per presentare un incontro dal titolo La sanità pubblica prima di tutto[1].
Si tratta di un argomento di estrema importanza, per il quale abbiamo tutti, medici e pazienti, l'obbligo di prendercene cura. In Italia esiste infatti un importante divario di classe (legato purtroppo anche alla provenienza geografica) nei confronti dell'accesso alle cure, come testimoniato dal report Le diseguaglianze di salute in Italia redatto dall'Osservatorio Nazionale sulla Salute nelle Regioni Italiane.
Da quanto si legge al suo interno (dati 2017), ad esempio, in Campania l'aspettativa di vita maschile è di 78,9 anni e quella femminile di 83,3 anni, valori nettamente differenti da quelli della Provincia Autonoma di Trento dove gli uomini vivono in media 81,6 anni e le donne 86,3. In generale si registra una fascia geografica del Nord-Est estremamente avvantaggiata rispetto al Mezzogiorno, con valori di 81,2 (per gli uomini) e 85,6 anni (per le donne) per la prima e di 79,8 e 84,1 anni per la seconda.
E' un gap che non sembra arrestarsi né affievolirsi, dato che la forbice di tempo analizzata va dal 2005 al 2017 e non registra una sostanziale variazione dei valori registrati. I dati maggiormente negativi riguardano in particolare Campania, Calabria, Sicilia, Sardegna, Molise, Basilicata, Lazio, Valle d'Aosta e Piemonte, che rimangono in tutto questo arco di tempo le Regioni al di sotto della media nazionale.
Anche la presenza di cronicità che influenza le condizioni di salute fa sì che si registri un grave divario sociale, con il 5,8% di una malattia cronica grave tra la classe di 25-44enni in possesso di un basso titolo di studio che diventa 3,2% se, invece, eseguiamo l'analisi su chi è in possesso di una laurea. Questa forbice aumenta con il passare del tempo, arrivando addirittura a registrare una differenza di 12 punti percentuale se giudichiamo la differenza tra laureati e persone con licenza elementare di età compresa tra i 45 e i 64 anni.
Ma la maggiore sfida risiede nell'abbattere gli ostacoli che impediscono l'accesso all'assistenza sanitaria pubblica, un problema che vede continue rinunce alle cure da parte della popolazione a causa della seria difficoltà di pagare il ticket per la prestazione sanitaria. Questa emergenza rappresenta un nodo focale del discorso, poiché influisce attivamente sull'abilità di intervenire preventivamente sulla malattia, o quantomeno sulla velocità del provvedere alla sua diagnosi. E sappiamo che se la diagnosi è tardiva, specialmente per alcune malattie, la prognosi sarà infausta.
Anche qui ci troviamo difronte a dati preoccupanti: la rinuncia alla prestazione sanitaria nella fascia d'età compresa tra i 45 e i 64 è pari al 12% tra chi ha completato le scuole dell'obbligo e al 7% tra i laureati. In generale le percentuali della rinuncia economica sono del 69% tra chi ha un basso titolo di studio e del 34% per i laureati[2].
Come intervenire dunque? È indispensabile attivare qualsiasi forma di iniziativa mirata allo sviluppo della cultura che ruota attorno ai temi della salute e degli stili di vita. È necessario organizzare presentazioni e occasioni di dibattito all'interno delle scuole e delle associazioni familiari. Questo alla luce del fatto che in diverse situazioni sono proprio i nostri stili di vita (alimentazione, moto, fumo, alcol, ecc.) che danneggiano la nostra salute.
Parallelamente, però, è prioritario che il Parlamento si occupi di welfare sociale e lavori affinché povertà e deprivazione vengano sempre più smantellate e lascino il posto all'erogazione di servizi sociali e sanitari di base, perché non dobbiamo mai dimenticare la stretta correlazione tra le condizioni economiche e di salute.
Il tutto affinché la sanità pubblica torni a ricoprire un ruolo centrale nella vita dei cittadini, in quanto, per citare le parole di Amartya Sen riportate, tra l'altro, in La salute (non) è in vendita di Giuseppe Remuzzi, essa "rappresenta un prerequisito per accedere ad altri diritti, e consentire agli individui di condurre le vite che scelgono, tutelando così le loro libertà"[3].
[2] https://www.osservatoriosullasalute.it/wp-content/uploads/2018/02/Osservatorio-sulla-salute_Le-disuguaglianze-di-salute_15_02_2018.pdf
[3] Giuseppe Remuzzi, La salute (non) è in vendita, Editori Laterza, Bari 2018