Prevenzione e stile di vita: oltre alla sugar tax servono nuovi approcci
L’obesità è uno dei grandi problemi di salute pubblica del terzo millennio. Merendine, bibite zuccherate, snack dolci e altri alimenti in cui spesso lo zucchero è “nascosto”, come cereali e yogurt, uniti a una sempre più crescente sedentarietà, aumentano il rischio di sviluppare malattie cardiovascolari e il diabete di tipo 2.
In Italia tra la popolazione adulta la prevalenza di diabete è pari al 6,3 per cento, ma tra gli adulti obesi, la prevalenza del diabete arriva al 15 per cento. Nella fascia d’età tra i 45 e i 64 anni, i soggetti affetti da diabete di tipo 2 e obesità sono il 12 per cento, ma si arriva addirittura al 30,1 per cento tra gli over-75. (Fonte: rapporto Osservasalute 2017)
Ancora più preoccupanti, sono i dati relativi alla popolazione infantile. I dati del sistema di sorveglianza “Okkio alla Salute” promosso dal Ministero della Salute/Centro per il Controllo e la prevenzione della Malattie e coordinato dall’Istituto Superiore di Sanità rivelano che un bambino italiano su 10 sotto i dieci anni d’età (scuola primaria) è obeso, mentre il 21 per cento è in sovrappeso, con un importante gradiente nord-sud.
Come limitare il consumo di alimenti così dannosi per la salute e così presenti oggi nella dieta di molti, soprattutto bambini? In alcuni paesi del mondo esiste già da tempo una tassa sugli zuccheri o “sugar tax” con l’obiettivo di limitare il consumo degli alimenti, soprattutto bevande, ad alto indice glicemico.
L’ultimo paese ad introdurla è stato il Regno Unito che ha proposto una tassazione incrementale – circa 0,20 € per le bevande con 5-8 grammi di zucchero/100 ml e 0,27 € per quelle con un contenuto superiore a 8 grammi/100 ml – con l’obiettivo di far ridurre il consumo e incentivare le industrie produttrici a ridurre il contenuto di zuccheri nelle bevande.
L’introduzione della sugar tax in Italia è stata promossa dal Fatto Alimentare in una lettera aperta al Ministero della Salute, alla quale anche la Società Italiana di Diabetologia ha dato la sua adesione. (Fonte: Fatto Alimentare)
“L’appello che rivolgiamo al Ministro della Salute – si legge nel testo della lettera aperta del Fatto Alimentare – è di promuovere una legge per tassare del 20% le bevande zuccherate con valori progressivi come prevede la norma inglese “Soft Drinks Industry Levy”, e porre precise restrizioni alla pubblicità di prodotti destinati ai bambini con un profilo nutrizionale sbilanciato. Se consideriamo la probabile riduzione dello zucchero nelle bevande prima dell’entrata in vigore del provvedimento come è successo in Gran Bretagna, in Italia è ragionevole ipotizzare un introito derivante dalla sugar tax di circa 240 milioni euro l’anno”.
“Questa somma – conclude la lettera – dovrebbe essere utilizzata per avviare seri programmi di educazione alimentare e promuovere modelli più salutari, ad esempio sotto forma di riduzioni delle tasse per alimenti bilanciati ispirandosi, ancora una volta, al modello inglese “Soft drinks industry levy”. C’è spazio anche per campagne pubblicitarie in tv e nelle scuole, per sconti alle famiglie con problemi economici sul prezzo dei pasti distribuiti a scuola, per programmi di avvio allo sport nelle scuole”.
Una proposta di tassa sulle bevande gassate è stata presentata in un emendamento alla Legge di Bilancio: mezzo centesimo per ogni grammo di zucchero presente, in linea con la tassazione di altri Paesi europei.
Diverse sono state le proposte per utilizzare i proventi della tassa. La tassa sulle bevande zuccherate potrebbe garantire la copertura necessaria per l'esclusione del regime Irap per le partite Iva fino a 100 mila euro. Ma forse il miglior utilizzo di quelle risorse è creare un fondo per l'obesità infantile.
A metà novembre la tassa sulle bevande gassate è stata bocciata dalla Lega. La posizione leghista, evidentemente collegata a valutazioni di carattere politico, non è l’unica voce di dissenso. Sono diverse le posizioni scettiche nei confronti di questo tipo di tassa.
Certamente esistono evidenze empiriche che ne collegano gli effetti a sensibili riduzioni delle vendite e quindi del consumo, ma ci vorrà tempo per accertare un reale miglioramento della salute della popolazione.
Le bibite gassate rappresentano solo una piccola parte degli alimenti a rischio. Cibi pieni di sale, zuccheri e grassi trans, quasi tutti di produzione industriale, sono acquistabili ai prezzi più bassi del mercato e disponibili pressoché ovunque, già pronti e immediatamente consumabili.
Le analisi e i contributi di alcuni esperti dimostrano che una tassa che comporti un’imposizione selettiva sulle abitudini alimentari, se utilizzata al di fuori di un quadro coordinato di specifiche azioni multidisciplinari, non sembra raggiungere l’obiettivo prefissato perché il consumo si sposta su altri alimenti altrettanto nocivi.
Io ritengo che per ridurre l’obesità più che un’imposta servano nuovi approcci che spingano i cittadini a modificare le loro scelte alimentari, basati su evidenze epidemiologiche e una forte collaborazione tra gli attori principali.
La sugar tax potrebbe essere inserita all’interno di una pianificazione più ampia che comprenda incentivi per i cibi più utili alla salute, in linea con le indicazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. Per esempio, circa un quarto degli italiani che dichiara di non mangiare abbastanza frutta fresca, ne mangerebbe di più se costasse un po’ meno, e circa un quinto farebbe la stessa cosa con la verdura e gli ortaggi. (Fonte: Censis)
Studi epidemiologici rivelano che le modalità d’insorgenza e sviluppo dell’obesità si realizzano in zone urbane e sub-urbane a basso reddito e che il fattore ambientale è cruciale per l’obesità infantile.
Un ruolo di grande rilevanza potrebbe essere giocato dalle Asl nell’intercettazione e il monitoraggio delle aree di disagio, ponendo così le basi per la realizzazione di modelli atti a influenzare positivamente le abitudini alimentari dei più giovani.
Ritengo che sia inoltre necessaria la collaborazione con le industrie per un miglioramento sulla composizione dei prodotti e per rimodulare le attività di comunicazione commerciale.