Sanità pubblica e privata: come salvaguardare l’universalismo e l’equità dell’accesso alle cure?
Potranno sanità pubblica e privata trovare un terreno di interazione virtuosa per garantire l’universalismo e l’equità del diritto alla cura? In che modo l’Italia potrà nei prossimi 40 anni sostenere la spesa per il Servizio sanitario pubblico e continuare a garantire l’accesso universale alle cure?
Secondo il 13° Rapporto sulla Sanità del Consorzio Universitario per la Ricerca Economica Applicata in Sanità (C.R.E.A. Sanità), la politica sanitaria in Italia, ma anche il contesto in cui essa si muove, sembra caratterizzata da una sostanziale immobilità, che si trascina ormai da almeno un decennio.
Tuttavia, dalle analisi raccolte nel Rapporto, si evince che l’immobilità è solo apparente: i cambiamenti in corso sembrano funzionali al mantenimento dello status quo, “tutto sta cambiando, perché nulla cambi”.
È un dato di fatto, confermato dalla statistica, che nel nostro Paese la sanità pubblica sta perdendo terreno. L'ospedalità privata e le strutture convenzionate, nel tempo, hanno saputo ritagliarsi un ruolo significativo e oggi si presentano, in alcuni esempi di particolare eccellenza, come soggetti in grado di garantire un’efficiente erogazione di servizi in termini di rapporto tra spesa e soddisfazione delle aspettative dei cittadini.
Universalismo ed equità
Il nostro Servizio Sanitario Nazionale, per anni considerato uno dei più eccellenti tra quelli ad accesso universale, di fatto, garantisce una quota progressivamente in calo delle necessità sanitarie dei cittadini.
Dati statistici del 2017 indicano che la spesa privata è aumentata nell’ultimo quinquennio del 4,5%, raddoppiando il tasso di crescita rispetto agli anni precedenti (Fonte: 13° rapporto Sanità C.R.E.A.).
Perché sempre più cittadini scelgono la sanità privata? Uno dei problemi più evidenti che si riscontra oggi nel pubblico è quello dell’attesa, a volte così lunga da mettere a rischio la salute o persino la vita. Oggi, infatti, sempre di più, chi vuole una risposta terapeutica rapida si vede obbligato a rivolgersi al privato, e chi non ha le risorse per farlo attende. Questo mette fortemente a rischio l’equità dell’accesso alle cure, che nel nostro Paese dovrebbe essere garantita, com’è scritto nell’articolo 32 della Costituzione.
Il numero di famiglie che ha dovuto far ricorso a spese sanitarie con le proprie risorse economiche (ciò che all’estero viene definito OOP “Out of Pocket”) ha raggiunto il 77,5% (circa 20 milioni di nuclei familiari), a fronte del 58,0% riscontrato nel 2013; alla maggiore frequenza del ricorso a spese private è associato anche un aumento della spesa effettiva pro-capite (+2,4% rispetto all’anno precedente). Il 17,1% delle famiglie residenti in Italia (4,4 milioni) ha dichiarato di aver cercato di limitare le spese sanitarie per motivi economici e, tra queste, 1,13 milioni le hanno annullate del tutto. (Fonte: 13° rapporto Sanità C.R.E.A.)
Garantire alle fasce più deboli l’accesso ai servizi sanitari rappresenta l’essenza del principio di tutela costituzionale della salute. La prima ragione dell’intervento pubblico in Sanità è proprio l’equità, che è condizione necessaria per garantire l’universalismo, qualora lo si declini, correttamente, in termini di pari opportunità di accesso all’assistenza, ovvero di garanzia di poter accedere alle cure indipendentemente dalle proprie condizioni economiche.
Deve però essere ricordato che per la Sanità in Italia si spende poco rispetto ai Paesi dell’Europa Occidentale, dove i concetti di Welfare e Sanità pubblica sono nati. La spesa sanitaria italiana, nel 2016, è complessivamente inferiore del 31,2% rispetto a quella dell’Europa Occidentale. Sul fronte della spesa pubblica, il divario tra l’Italia e l’Europa Occidentale ha raggiunto il 35,2%, mentre per quanto riguarda la spesa privata il gap è del 16,0%. (Fonte: 13° rapporto Sanità C.R.E.A.)
Il risanamento finanziario che si è realizzato negli ultimi anni in Italia è costato il netto distacco della quota di finanziamento pubblico della Sanità dal livello dei Paesi dell’Europa Occidentale e un progressivo avvicinamento alle quote tipiche dei Paesi “nuovi” entranti dall’Europa Orientale.
Universalismo non è solo gratuità
Esiste anche un altro aspetto da considerare. In un Servizio Sanitario con criticità evidenti, come appare oggi quello italiano, accade che la gratuità dei servizi possa incoraggiare un consumo eccessivo e inappropriato delle risorse sanitarie, mettendo a rischio la sostenibilità del sistema e di conseguenza anche l’universalismo.
Oggi una quota rilevante delle malattie croniche deriva da comportamenti a rischio, pertanto un accesso universale e totalmente gratuito, senza attenzione a un’educazione a stili di vita sani, rischia di diventare sinonimo di un “accesso indiscriminato”, e quindi può addirittura incentivare la persistenza di comportamenti non salutari, che gravano ingiustamente sulla solidarietà sociale.
Inoltre, a volte, nelle strutture private convenzionate si tende a prescrivere esami e terapie non strettamente necessari, per la sola ragione di ricevere rimborsi dal Servizio Sanitario Nazionale. Questo comportamento stravolge completamente gli equilibri di un sistema in cui pubblico e privato dovrebbero essere attori complementari e avere come interesse comune la Salute dei cittadini.
Le tre sfide dei nostri giorni sono dunque: salvaguardare l’equità dell’universalismo, promuovere la prevenzione e scoraggiare l’uso inappropriato delle risorse sanitarie.
Sono dell’avviso che la sanità privata possa essere complementare alla pubblica, ma la pubblica dovrebbe rappresentare il sistema principale per garantire quell’accesso universale alle cure, che le nostre madri e padri fondatori hanno voluto scrivere nell’articolo 32 della nostra Costituzione.
Ignazio Marino