La mia missione come chirurgo dei trapianti
Dopo un agosto di intenso lavoro, lontano dall’Italia, mi trovo a riflettere sugli anni che passano e il cammino che fin qui che ho percorso. Tra le varie esperienze della vita adulta, il mio lavoro di chirurgo dei trapianti mi ha sempre illuminato la strada.
Il giorno di ferragosto, tra i tanti messaggi ricevuti, uno in particolare mi ha spinto a questa riflessione: quello di una signora che, moribonda, trapiantai di fegato nel 1998 e che da oltre vent’anni vive una nuova e piena vita personale e professionale. Non so immaginare un lavoro che possa dare la stessa gratificazione.
Nel 2016 sono tornato alla mia attività in Ospedale e Università negli Stati Uniti, e mai come adesso sono convinto che sia uno dei mestieri più belli del mondo. Quella del medico è una vera e propria missione: richiede dedizione, passione e una grandissima disponibilità verso gli altri, un coinvolgimento profondo con un altro essere umano che spesso è disorientato e ha paura di perdere il bene più prezioso che abbiamo: la nostra salute.
Settembre è il mese degli inizi, per i più giovani: della scuola, dell’università, di un nuovo lavoro. So quanto è difficile entrare nel mondo del lavoro con le poche certezze che oggi in Italia esistono. Per questo mi fa piacere raccontare qualcosa di me e della mia professione a chiunque sia incuriosito da questo bellissimo e complesso mestiere.
Quella dei trapianti è una branca molto particolare della medicina. Diversamente da quanto accade negli altri settori, dove una volta che il paziente è guarito e dimesso dall’ospedale il rapporto con la struttura sanitaria e con il medico che lo ha operato e assistito si interrompe, nel caso dei trapianti la relazione non finisce mai. I controlli, infatti, sono necessari per tutta la vita per tenere sotto controllo il rischio del rigetto e adattare nel tempo la terapia immunosoppressiva.
Quando lavoravo con lui all’università di Pittsburgh negli Stati Uniti, Thomas Starzl, un grande chirurgo e l’inventore della tecnica per eseguire il trapianto del fegato, ripeteva sempre: «Dopo un trapianto il paziente diventa come un figlio». Con quelle parole voleva insegnare a noi giovani medici quanto fosse importante mantenere uno stretto e costante rapporto con i pazienti trapiantati perché ogni piccolo segno, ogni malessere, qualche linea di febbre, non deve essere sottovalutato in un paziente che ha subito un trapianto d’organo: potrebbe essere il segnale di un inizio di rigetto dell’organo oppure di un’infezione che va subito curata per evitare problemi più seri e difficili da risolvere.
Il medico che si occupa dei trapianti, infatti, si confronta con la complessità dell’incontro di due patrimoni genetici diversi, quello dell’organo donato e quello del paziente che lo ha ricevuto, e, oltre allo studio, si affida all’esperienza, all’intuito e alla passione che lo spinge a stare sempre vicino al paziente, osservandone ogni cambiamento, quasi fosse un familiare o un caro amico.
Proprio dalla condivisione dei gesti quotidiani con i pazienti scoprimmo, per esempio, che il succo di pompelmo interferisce con il metabolismo del tacrolimus, il più efficace farmaco antirigetto nel trapianto di fegato, osservando gli alti livelli del farmaco nel sangue di un trapiantato appassionato di questa bevanda.
Un altro aspetto che rende i trapianti unici dal punto di vista del medico è che non si può mai staccare completamente dall’attività dell’ospedale. Non si può chiudere la porta del reparto alla fine del turno, non pensarci più e lasciarsi tutto dietro alle spalle fino alla mattina successiva o per il fine settimana. La chiamata per un organo disponibile può arrivare in qualunque momento: nel cuore della notte, di domenica o nel giorno di Natale, ed è necessario essere sempre pronti e disponibili a partire, saltando su un jet o su un elicottero, per andare a prelevare un organo in città a volte lontane.
Ci sono poi gli interventi in sala operatoria che sono lunghi e faticosi, in particolare per il trapianto di fegato, che richiede concentrazione per molte ore e anche uno sforzo fisico non indifferente.
Sono sacrifici notevoli che esigono una dedizione e una reale passione per questo mestiere e che non tutti sono disposti ad accettare e a sopportare. Per questi motivi, nonostante i trapianti rappresentino uno dei settori di punta della medicina, diventa sempre più difficile trovare giovani medici che scelgono quest’attività, probabilmente scoraggiati dall’inevitabile impegno e dalla necessaria dedizione che sono richiesti.
Ci sono però aspetti molto gratificanti, che non hanno paragoni e che rappresentano le più grandi soddisfazioni per un medico. Non c’è gioia più grande, per quanto riguarda la mia esperienza, di guardare un paziente alzarsi dal letto dopo una lunga e debilitante malattia e, dopo un trapianto, vederlo cominciare a mangiare e camminare, assistere ai suoi progressi giorno dopo giorno, stringergli la mano nel momento in cui ritorna a casa dalla propria famiglia, al suo lavoro, alla sua vita e ricevere, poi, sue notizie o una cartolina di auguri per Natale.
Perché oggi una ragazza o un ragazzo dovrebbero decidere di fare il chirurgo? A volte mi chiedo: io lo rifarei? Ricomincerei se, conoscendo tutto ciò che mi aspetta, potessi scegliere? La mia risposta è sì, senza alcuna esitazione. Quello del chirurgo è un mestiere straordinario: ci permette di esplorare il corpo umano, di ascoltare altri esseri che ci raccontano di se stessi e che si rivolgono a noi perché attraverso ciò che abbiamo imparato possiamo restituire loro la salute.
Dietro ogni gesto in sala operatoria ci sono anni di studio, di esercizio. Le nostre mani hanno appreso a compiere i movimenti più sottili e delicati, i nostri occhi a riconoscere gli organi sani da quelli malati. Gradualmente siamo arrivati a muoverci insieme con gli altri chirurghi, a intuire e ad accompagnare il prossimo gesto, con un solo sguardo, a lavorare in squadra. Ma soprattutto abbiamo avuto la possibilità di guarire una malattia con alcune ore del nostro lavoro. Un privilegio che non è concesso a nessun altro.