Cellule staminali: la necessità di un dialogo tra scienza e bioetica
«So di non sapere», affermava Socrate al suo processo. Sosteneva che la verità può essere raggiunta soltanto attraverso il dialogo e l’attenzione ai diversi punti di vista da cui si osserva una qualsiasi asserzione. Questo è più che mai vero quando la verità della scienza si scontra con le ragioni dell’etica e della fede religiosa.
Nell’ambito delle grandi questioni di bioetica, come il dibattito sull’utilizzo delle cellule staminali embrionali per la ricerca e la cura delle malattie, o sulla natura stessa dell’embrione umano, è nell’interesse di tutti, comunità scientifica, società civile e religione, iniziare un dialogo sulla vita piuttosto che alzare barricate.
A partire dagli anni Ottanta si è cominciata a studiare la biologia dello sviluppo dal punto di vista dell’espressione genica differenziale, ossia l’attivazione all’interno di ciascuna cellula di alcuni geni particolari e non di altri. Più recentemente, diverse straordinarie scoperte sulle cellule staminali hanno aperto la strada a nuove possibilità di cura.
Oggi sappiamo che alcuni tessuti del corpo umano sono in grado di rigenerarsi per riparare un eventuale danno, grazie all’opera di alcune cellule poco differenziate, o cellule staminali. Queste si trovano in uno stato di attesa e, se l’organismo lo richiede, possono dividersi rapidamente, differenziarsi in modo specifico e dare origine a una grande varietà di tipi cellulari.
Le cellule staminali possono essere distinte in due categorie principali, le cellule staminali embrionali e le cellule staminali adulte.
Le cellule staminali embrionali sono presenti nell’embrione quando raggiunge lo stadio di blastocisti, a circa cinque giorni dalla fecondazione.
Le cellule staminali adulte sono localizzate in tutti gli organi. Le più facili da isolare sono le cellule staminali ematopoietiche, che derivano dal midollo osseo e dal sangue del cordone ombelicale; esse possono dare origine a tutti i diversi tipi di cellule del sangue e da tempo sono utilizzate nella terapia delle malattie ematologiche.
Le cellule staminali embrionali posseggono la capacità di differenziarsi in cellule di qualsiasi tipo e potrebbero essere utilizzate per la rigenerazione di organi e tessuti, il che permetterebbe di abbandonare terapie invasive, forse anche i trapianti.
Osservando i dati sperimentali non possiamo negare che le cellule staminali rappresentano una promessa per il futuro della medicina rigenerativa e per l’ingegneria dei tessuti.
Tuttavia più di un dubbio è lecito sull’utilizzo delle cellule di origine embrionale in ambito medico e bisogna procedere con cautela.
Da un punto di vista scientifico, le sperimentazioni sull’uomo hanno mostrato incertezze soprattutto legate all’ancora scarsa comprensione dei meccanismi di riparazione.
Vi è inoltre un’argomentazione etica che esclude la possibilità di creare in laboratorio embrioni con il solo fine di prelevarne delle cellule da destinare alla ricerca. Indipendentemente dagli orientamenti religiosi o politici, non è accettabile creare nuovi embrioni per poi distruggerli.
Molta prudenza viene adottata anche nei confronti degli embrioni congelati nelle cliniche per l’infertilità, destinati a morire perché nessuno li utilizzerà mai a scopi riproduttivi.
Il dibattito sulle potenzialità e sull’utilizzo delle cellule staminali a scopo di ricerca e a scopo terapeutico ha obbligato tutta la società a interessarsi a questi delicati progressi della scienza.
Associando alle esigenze dei ricercatori anche riflessioni di tipo bioetico, diversi Paesi si sono dati delle regole: ognuno in maniera autonoma.
In Europa non esistono leggi o comportamenti uniformi: certamente l’Inghilterra si è distinta per aver fatto della ricerca sulle staminali un settore di punta, mentre in Italia come in Germania prelevare cellule staminali embrionali a scopo di ricerca è espressamente vietato dalla legge.
Il mondo si divide su questi temi, e può accadere che l’informazione scientifica sia schiacciata tra discussioni ideologiche, inconciliabili e spesso faziose, che nulla hanno a che vedere con lo scopo che si prefigge la scienza, ovvero il progresso della conoscenza per il bene dell’umanità.
Una parte della Chiesa cattolica ha assunto rigidità nel giudizio, preferendo non aprire il dialogo, nel timore che accettando di ascoltare le ragioni di alcuni scienziati si rischi di valicare limiti etici che devono rimanere intatti.
Personalmente, da credente e da uomo di scienza, credo invece che dobbiamo porci degli interrogativi e che il dialogo sia sempre preferibile allo scontro ideologico. Se la Chiesa non avesse ascoltato nel 1968 le ragioni degli scienziati sul concetto di morte cerebrale, oggi forse la chirurgia dei trapianti non esisterebbe. Allora, affermare che una persona è morta anche se il cuore batte ancora fu certamente una rivoluzione culturale straordinaria, dal momento che per milioni di anni la morte era stata identificata con il cessare del battito cardiaco.
Se un paziente paralizzato a causa di un grave danno alla spina dorsale si alzerà dalla sua sedia a rotelle e riprenderà a camminare, oppure un bambino riprenderà a vedere grazie a una terapia con cellule staminali embrionali, come si riuscirà ad affermare che non si tratta di una strada da seguire? Come si sosterrà che le cellule degli embrioni abbandonati per sempre nelle cliniche per l’infertilità e non piú utilizzabili a scopo riproduttivo, debbano essere lasciate morire nei congelatori invece che donate per guarire pazienti oggi giudicati incurabili?
Gli Stati Uniti sono il paese con la piú ampia esperienza in questo campo e già dagli anni Novanta esistono procedure codificate. In linea generale gli embrioni vengono conservati nei congelatori fino a quando la madre biologica è in età fertile, in modo da lasciare sempre la possibilità di impiantarli nel suo utero. Dopodiché viene chiesto di prendere una decisione: lasciarli congelati a tempo indefinito fino alla loro fine naturale, chiederne la distruzione, concederli ad altre coppie che aspirano ad avere un figlio, o donare gli embrioni a scopo di ricerca.
Laici e credenti si interrogano sulla natura dell’embrione umano, se e quando possa considerarsi una vita, se debba essere trattato come un essere vivente già nato, se gli spettino dei diritti.
Proprio su questo argomento si troverebbe forse un accordo se si aprisse un dialogo costruttivo tra scienza e religione.
Si potrebbe, forse, individuare un momento in cui un embrione perda la capacità di moltiplicare le sue cellule e non possa più essere utilizzato per dare origine a una vita. A quel punto, con un meccanismo simile a quello previsto per la donazione degli organi di un paziente in morte cerebrale, gli embrioni potrebbero essere donati ai laboratori di ricerca.
Si potrebbe pensare di elaborare, su basi scientifiche, la definizione di “morte riproduttiva” così come è stato fatto con il concetto di morte cerebrale. Come accennavo, nel 1968, ad Harvard, un gruppo di studiosi stabilì che la fine della vita avviene nel momento in cui si assiste alla totale cessazione dell’attività encefalica. Questa definizione, oggi universalmente riconosciuta, ha permesso lo sviluppo della chirurgia dei trapianti. Prima di quel momento il prelievo degli organi da un paziente a cuore battente era un reato.
Allo stesso modo, se arriveremo a definire scientificamente il momento della fine della capacità riproduttiva degli embrioni già congelati da anni, si potranno utilizzare le loro cellule staminali a scopo di ricerca, con protocolli rigorosi e controllati dalle istituzioni.
Oggi la scienza sta toccando i meccanismi della vita e costringe l’individuo e la società a porsi domande molto complesse. Interrogarsi sulle questioni di bioetica significa chiedersi cosa sia giusto e cosa sia sbagliato, con onestà intellettuale, nel rispetto della vita e della dignità umana, dimostrando capacità di ascolto nei confronti delle ragioni della scienza e della fede.