Le sfide della sanità: il diritto alla cura
Con questo articolo vorrei iniziare una serie di interventi su un tema che ritengo sia cruciale per l’Italia e in generale per la società civile di oggi: il diritto alla cura e come la sanità, i parlamenti dei diversi Paesi e i singoli individui potranno cercare di raggiungere questo traguardo, essenziale per la vita delle persone.
Assistiamo oggi a cambiamenti molto profondi, a un ritmo più veloce che mai. Nel campo della medicina, i progressi scientifici e una tecnologia sempre più all’avanguardia hanno reso possibile la cura di malattie che fino a 50 anni fa erano mortali, e ci hanno anche posto di fronte a questioni etiche nuove e complesse.
È un dato di fatto che viviamo molto più a lungo –anche se non necessariamente meglio, e comunque non in tutto il mondo– e che lo sviluppo della tecnologia porterà la ricerca scientifica a uno stadio ogni giorno più avanzato.
Per i prossimi 30-40 anni ci troveremo a dover affrontare al meglio questo cambiamento e trarne beneficio, costruendo le fondamenta di un mondo in cui la salute sia davvero un diritto per tutti.
La salute come equilibrio fisico e psichico dell’individuo
Nel corso del ‘900 siamo passati ad avere un concetto di salute strettamente legato alla disponibilità delle risorse sanitarie, alle terapie, ai farmaci, agli ospedali, ai medici.
Dimentichiamo spesso che la nostra salute ha molto più a che fare con ciò che mangiamo, beviamo, con l’aria che respiriamo, con l’utilizzo che facciamo del nostro corpo e con le attività che svolgiamo durante il giorno.
Ci sforziamo in maniera spasmodica per creare un sistema di vita sempre più complesso che fiduciosamente, e forse irresponsabilmente, definiamo “migliore”, ma rinuciamo ad avere un sano e concreto rapporto con la realtà del nostro corpo, con il mondo, con le persone.
In Italia, come nella maggior parte dei paesi ad alto indice di sviluppo, le due principali cause di morte oggi sono le malattie cardiovascolari e i tumori, entrambe patologie in cui l’influenza dell’ambiente esterno e gli stili di vita hanno un ruolo determinante.
Di fatto, conduciamo un’esistenza che non tiene conto della salute come di uno stato naturale da conservare gelosamente ma piuttosto come di una condizione che può essere ricostruita attraverso la medicina.
Siamo giunti a un’epoca in cui il vecchio concetto di benessere, contrapposto a quello di malattia e strettamente collegato all’idea di cura e terapia, va abbandonato per abbracciare quello di salute come equilibrio fisico e psichico dell’individuo con il mondo che lo circonda.
Io sono sempre stato un promotore del concetto di salute in tutte le politiche, ovvero dell’importanza che ogni nostra azione può avere sulla salute delle persone, dalla pianificazione di grandi opere, come autostrade o aeroporti, ai piani regolatori delle città, alle scelte in materia di energia, agli insediamenti industriali, alle produzioni agricole e via di seguito.
Nel campo della sanità, e non solo, di fronte a bisogni che sono cambiati radicalmente, il salto da fare non è solo nell’approccio alla salute e alla malattia. L’assetto e l’organizzazione delle strutture adibite alla cura dovranno essere ripensate.
Le scelte che siamo chiamati a fare, ognuno nel proprio settore, influenzano il mondo e saranno determinanti per cavalcare l’onda del cambiamento. In quest’epoca di crisi, preferisco pensare che quello che abbiamo sono in realtà infinite possibilità di crescere.
La salute come fondamentale diritto dell’individuo
Nel mondo occidentale l’aspettativa di vita è cresciuta notevolmente, ma è molto triste notare come il divario tra Nord e Sud del mondo sia sempre più grande, e come in Paesi economicamente avanzati le disparità si acuiscano invece che assottigliarsi, nonostante la tecnologia e le sperimentazioni più all’avanguardia.
È ciò che accade anche negli Stati Uniti dove circa 30-40 milioni di americani non hanno accesso ai trattamenti sanitari (ad eccezione del pronto soccorso) né ai farmaci perché non hanno un lavoro che permetta loro di pagare un’assicurazione privata.
Le condizioni di vita dei paesi industrializzati e quella dei paesi a minore indice di industrializzazione si scontrano nel movimento che caratterizza il nostro millennio. È assolutamente necessario trovare una forma di equilibrio.
La fiducia nella scienza e la prospettiva di individuare terapie sempre più efficaci per garantire la nostra salute non possono bastare se interi continenti vengono esclusi dal cammino che porta ad un miglioramento delle condizioni di vita.
Da un lato del mondo si possono spendere milioni di euro per curare una singola persona e tentare di guarire pochissimi privilegiati, dall’altro lato del pianeta non si riescono a organizzare e a finanziare adeguatamente programmi di vaccinazione di massa o servizi di assistenza al parto che potrebbero salvare milioni di vite.
Il vero cambiamento comincia necessariamente dal riconoscimento della salute come bene primario, un diritto inalienabile di tutti gli individui.
Nel 1947, i nostri padri e madri costituenti scrivevano nella Carta Costituzionale:
«La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana».
L’articolo 32 della Costituzione ispirò la legge del 1978 con cui venne creato il Servizio sanitario nazionale in sostituzione delle storiche mutue: un sistema sanitario universale e solidaristico, il diritto alla cura garantito, l’accessibilità alle strutture e l’equità assicurate a tutti i cittadini, indipendentemente dalle loro condizioni sociali ed economiche.
L’Italia all’epoca si dimostrò all'avanguardia nel concepire un concetto così alto come il diritto universale alla vita, alla salute, al rispetto della persona. Credo che questo pensiero debba essere la base da cui iniziare per mettere in atto un cambiamento, non solo in Italia.
Ignazio Marino