Liberalizzazione della cannabis e partecipazione della scienza al dibattito sulla salute
Un giorno del 1979, mentre uscivo dall’Ospedale dopo il mio lavoro in sala operatoria, vidi due giovani in moto strappare la borsa a una donna anziana che cadde urtando violentemente lo spigolo del marciapiede e morì per il trauma cranico. Appresi che lo scippo era legato al consumo di droga e da allora iniziai a interrogarmi, come medico e come cittadino, su quella vita perduta e sui drammi che si accompagnano al consumo e allo spaccio della droga. Così negli anni in cui oltre al mio mestiere di chirurgo ebbi la responsabilità di presiedere la Commissione Sanità del Senato della Repubblica Italiana cercai in ogni modo di introdurre razionalità al posto delle ideologie e dati scientifici al posto dei luoghi comuni.
Come un medico ha una responsabilità personale nel migliorare la vita del proprio paziente, così un parlamentare può contribuire al miglioramento delle condizioni di vita di molti con una legge utile ai cittadini.
Nel 2014 riaffermai la mia convinzione che fosse necessario attuare quanto indicato dal popolo con il referendum del 1993, quando 37 milioni di Italiani si recarono a votare e la maggioranza di essi si dichiarò favorevole alla liberalizzazione della cannabis per uso terapeutico o personale. Non avevo dubbi che avrei alimentato polemiche. Fui addirittura accusato di negligenza nel mio lavoro da Sindaco, perché dedicavo una riflessione ad argomenti giudicati lontani da Roma e dai Romani. Chi mi criticava probabilmente non aveva mai studiato i dati sul consumo di cannabis, ad esempio nelle scuole, e quanto l’illegalità della marijuana favorisca le attività criminali.
Viviamo in un epoca in cui una riforma delle leggi sulle droghe è necessaria a livello nazionale e internazionale e il dibattito sulla legalizzazione deve essere valutato sulla base di dati scientifici, piuttosto che di slogan.
Le politiche proibizioniste non sono state in grado di risolvere il problema dell’alta diffusione della droga, né tantomeno quello della criminalità organizzata, che ne gestisce il traffico nazionale e internazionale.
La legalizzazione della cannabis potrebbe essere una prima e necessaria iniziativa per sottrarre un mercato importante alle associazioni criminali.
Oggi le norme sulla cannabis sono in evoluzione in tutto il mondo e sono molti gli esempi virtuosi di un processo di legalizzazione totale o parziale: come la California che ha legalizzato la prescrivibilità dei cannabinoidi a scopo terapeutico e il Canada o il Colorado che hanno dato il via a un processo di legalizzazione della marijuana anche a scopo ricreativo.
È da poco passato il 26 giugno, la Giornata internazionale contro l’abuso di droghe e il traffico illecito e i dati forniti dal World Drug Report del 2018 non hanno necessità di commenti: circa 275 milioni di persone in tutto il mondo (pari al 5,6% della popolazione mondiale di età compresa tra i 15 e i 64 anni) hanno fatto uso di droghe almeno una volta nel 2016.
Nel 2016, la quantità di cannabis sequestrata a livello mondiale è tuttavia diminuita del 22% nel 2016 rispetto all’anno precendente, per un totale di 4682 tonnellate, il livello più basso registrato dal 2000, ed è interessante che il declino è stato particolarmente marcato in Nord America, dove in diversi stati il consumo di cannabis è stato legalizzato a fini medici e ricreativi.
Una delle mie più grandi preoccupazioni da medico è la prassi messa in atto dai cartelli della droga negli ultimi anni di modificare geneticamente le piante, con il fine criminale di creare un prodotto in grado di determinare una forte dipendenza, quasi alla pari delle cosiddette “droghe pesanti”.
La cannabis comprende diverse specie, che variano per percentuale di THC e di altri cannabinoidi come CBD, CBN, CBC, THCV a seconda dei quali si ha un effetto fisiologico e psicotropo differente. Le modificazioni genetiche della cannabis ne potenziano la pericolosità.
Secondo studi recenti il tasso di THC della marijuana da spaccio reperibile nelle principali piazze italiane è quasi raddoppiato negli ultimi 15 anni e arriva fino al 10%, a fronte di una quasi totale assenza del cannabidiolo, il principio non psicoattivo.
In altre parole, la criminalità organizzata crea prodotti sempre più pericolosi, e diventa così impossibile monitorare il rischio a cui sono sottoposti, ignari, i consumatori.
La mafia insabbia la conoscenza, per lucrare sulla salute. Rendere legale la cannabis per il consumo terapeutico e ricreativo renderebbe le persone maggiormente consapevoli dei rischi per la salute oltre ad evitare il finanziamento ai cartelli della droga.
Un’altra ragione che mi spinge a ribadire come medico la mia posizione a favore della cannabis legale è la possibilità di promuovere l’uso del vaporizzatore piuttosto che di uno spinello. Con una capsula inserita in un vaporizzatore si conoscono esattamente le caratteristiche chimiche e il dosaggio di ciò che si consuma, grazie al controllo delle autorità sanitarie, e si previene così il rischio di cancro legato alla combustione della sigaretta.
Il 21 giugno 2018 il Consiglio Superiore della Sanità ha raccomandato al Ministro della Salute “che siano attivate, nell'interesse della salute individuale e pubblica e in applicazione del principio di precauzione” le misure per bloccare la cannabis light perché “non si può escludere la pericolosità del Thc anche a basse concentrazioni in alcuni soggetti”. È certamente vero che uno stile di vita sano e l’evitare il consumo di sostanze dannose (penso ad esempio all’alcol o al tabacco) siano da incoraggiare, ma ritengo che uno studio analitico e scientifico della cannabis, che permetta di introdurre misure di liberalizzazione, consenta una migliore informazione scientifica, una diminuzione dei rischi per la salute e possa eliminare il traffico da parte delle organizzazioni criminali. La partecipazione della scienza al dibattito sulla salute dovrebbe sempre essere incoraggiato e ricercato