Reginald Green e l'impegno per un libero contatto d'affetto tra familiari dei donatori e riceventi
Ho parlato di Nicholas Green molte volte in passato: per me è una vicenda sempre attuale, anche se sono passati quasi 25 anni da quel drammatico 29 settembre 1994.
Durante una vacanza in Italia, Nicholas Green, un bambino americano di 7 anni, figlio di Reginald e Margaret, venne ucciso mentre era in macchina sulla Salerno-Reggio Calabria con la famiglia, con un colpo di pistola sparato da due criminali durante un tentativo di rapina. I Green decisero di donare tutti gli organi del piccolo Nicholas.
La tragedia scatenò una forte sensibilità sul tema della donazione degli organi, fino allora poco conosciuta e praticata, e un importante incremento dei trapianti in Italia.
Io sono un chirurgo dei trapianti e da sempre mi sono impegnato per rendere questa straordinaria pratica chirurgica sempre più efficiente e diffusa. Credo che quello che le persone hanno colto e amato della famiglia Green sia tutta l’umanità che c’è nel reagire a un evento così brutale, come la morte violenta e improvvisa di un bambino, con amore e generosità verso gli altri, per far sì che da quel dramma potesse nascere del bene.
«Volevo dare l’opportunità ad altri bambini di poter vivere» dice Reginald Green ancora oggi che ha ottant’anni e continua a raccontare al mondo l'importanza della donazione degli organi. «Fu quella inondazione di calore umano che ci aiutò a trasformare uno sconsiderato atto di brutalità in una lezione universale in cui la vita trionfa sulla morte, e la speranza sulla disperazione». I suoi sorrisi e le sue frasi semplici ed incisive restituiscono tutta la saggezza di un uomo che reagisce alla morte con uno slancio verso la vita.
Reginald Green da allora porta avanti anche un impegno per permettere alle famiglie dei donatori e dei riceventi di conoscersi, ovviamente solo qualora entrambe lo desiderino. Un impegno di libertà e civiltà in cui io mi sono sempre schierato al suo fianco, esprimendo la mia posizione in diverse occasioni.
In Italia, la legge del 1999 che tutela la privacy dei pazienti vieta al personale sanitario di rivelare l’identità dei trapiantati, impedendo una qualsiasi forma di contatto tra pazienti e famiglie dei donatori.
Se questa legge fosse stata già in essere nel 1994, non sarebbe stato possibile per Reginald conoscere l’identità delle 7 persone che hanno potuto vivere grazie agli organi di suo figlio Nicholas e stringere con essi un legame di profondo affetto.
Nel post-trapianto, il contatto tra la famiglia del donatore e la famiglia dei riceventi potrebbe non essere sempre opportuno, ma nei casi in cui sia fortemente e reciprocamente desiderato, i vantaggi possono essere molti. Lasciamo valutare questo aspetto alla prassi della medicina, attraverso un’attenta analisi delle singole situazioni e dei risultati.
Negli Stati Uniti, le autorità sanitarie agevolano il contatto, quando sia desiderato, e i dati statistici confermano che i risultati sono positivi per il benessere psichico di entrambe le parti. Le famiglie possono mettersi in contatto solo a distanza di anni dal trapianto e, voglio ripeterlo ancora una volta, solo se entrambe lo desiderano: il tutto sotto la supervisione di un team di esperti. Si rende possibile inizialmente uno scambio di lettere anonime e poi, solo dopo una valutazione positiva da parte di professionisti competenti e prudenti, l’incontro.
Nel mio lavoro da chirurgo ho avuto l’opportunità e la fortuna di vivere da vicino la forza dei sentimenti umani: la resistenza alla sofferenza, l’attaccamento alla vita, la reazione agli eventi. Alla nascita, la reazione verso gli stimoli del mondo esterno ci fa abbracciare la vita che inizia. La morte d'una persona amata, di un figlio, di un compagno di vita è forse l’evento più traumatico per un essere umano. La nostra umanità è anche lì, nella reazione al dolore.
Ciò che la morte comporta a livello psichico deve rimanere di pertinenza dei sentimenti più profondi dell’essere umano. La reazione alla perdita di un caro è personale, e personali sono le scelte che si fanno per affrontare un lutto.
Le leggi devono essere create per facilitare, rendere equo, virtuoso e ben funzionante un processo, ma non dovrebbero entrare nella sfera del privato. Non spetta al legislatore dettare regole sullo scambio di affetti tra le persone.
Credo che la sfida più grande di questi tempi sia proteggere la nostra umanità e dobbiamo sentire un grande senso di responsabilità nel farlo.